giovedì 13 luglio 2017

Siamo tutti celiaci?


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Da "Vinepair.com"
Siamo diventati tutti celiaci? A leggere le etichette dei prodotti in vendita nei supermercati, pare che al consumatore nulla importi della qualità del cibo, della sua provenienza e dei trattamenti che esso subisce, ma interessa solo che sia “ricco di fibre”, a dire che quello debba essere l’unico scopo di un alimento, e soprattutto “gluten free”, cioè privo di glutine.
A sentire i soliti bene informati, siamo diventati tutti intolleranti se non allergici a qualche alimento. Ma è vero? Siamo davvero tanti? L’allarmismo che circola è reale?
Meno di quanto pensiamo.
        Un gruppo di ricercatori della Harvard Medical School ha analizzato i dati sanitari di 2,7 milioni di adulti, registrati nell’area di Boston, individuando circa 97mila casi di persone che si erano presentate in ospedale o erano andati dal medico per una reazione avversa causata dal cibo: orticaria, vomito, difficoltà respiratorie, starnuti, fino allo shock anafilattico.
      La percentuale di persone con allergie al cibo è risultata del 3,6 per cento, equivalente a meno di una persona su 25 per la popolazione degli Stati Uniti, un numero inferiore a quanto si riteneva fino ad ora.

        Ma le stime sono variabili. Le stime più recenti parlano del 5 per cento degli adulti e l’8 per cento dei bambini. Ma le cifre variano anche di molto, e addirittura oscillano tra l’uno e il venti per cento. Uno dei motivi è che spesso queste statistiche si basano su sintomi riportati da pazienti e su test non standardizzati. Distinguere e diagnosticare tra allergie e intolleranze alimentari, inoltre, non è semplice neppure per i medici.
     “La scienza fa una distinzione precisa tra allergie e intolleranze alimentari. Sono considerate allergie le reazioni di ipersensibilità a un cibo in cui è coinvolto il sistema immunitario, che riconosce come nemico da attaccare una particolare proteina contenuta in quell'alimento e gli scatena contro una categoria di anticorpi chiamati immunoglobuline, le quali a loro volta, tramite una catena di reazioni, provocano i sintomi tipici: dal gonfiore al prurito fino alla caduta della pressione sanguigna e, nei casi più gravi, difficoltà respiratorie e choc anafilattico.

      Le intolleranze sono invece tutte le reazioni in cui non entra in gioco il sistema immunitario, per esempio quelle causate da carenza dell’enzima che deve digerire un certo alimento (la più tipica è quella al lattosio, lo zucchero contenuto nei latticini), oppure da una reazione ad alcuni cibi ricchi di sostanze come l’istamina, presente nel vino, nella birra, nel cioccolato, nel tonno, o la tiramina, contenuta in molti formaggi stagionati. 

       La distinzione appare netta, ma nella realtà riconoscere un’allergia, distinguerla da un’intolleranza, diagnosticarla e curarla non è banale.”[1]

      Una recente ricerca [2] ha dimostrato che molte diagnosi di allergia all’arachide, assai diffusa nei paesi del nord Europa e negli Stati Uniti, più rara in Italia, sono false. E le persone che reagiscono a un tipo di frutta a guscio, potrebbero in realtà non avere problemi con altre, anche se i test diagnostici risultano positivi. Ben il 96 per cento dei partecipanti allo studio, allergico all’arachide, ha potuto consumare senza problemi altri tipi di frutta a guscio.

     Il problema, dunque, esiste e non va sottovalutato, anche perché l'uso, spesso smodato di additivi e trattamenti chimici, può portare a sensibilizzazioni improvvise, ma va anche considerato che l'esistenza di queste problematiche, limitata ad una piccola ma significativa percentuale di popolazione, non giustifica le continue e martellanti campagne terroristiche contro questo o quell'alimento, pilotate più di quanto si pensi dalla grande industria alimentare che vede dappertutto occasioni di businnes: tutti i prodotti "gluten free" sono più cari degli altri e sono utili solo e solamente ai veri ammalati di celiachia.


[1] Da "Le Scienze"

[2] Characteristics of tree nut challenges in tree nut allergic and tree nut sensitized individuals - Annals of Allergy, Asthma & Immunology (Volume 118, Issue 5, May 2017, Pages 591-596.e3)



sabato 1 luglio 2017

Pasta con crema di patate e basilico

     Vado spesso distrattamente a curiosare su quelli che chiamo "ricettacoli", cioè libri di cucina di grandi autori e mi sono imbattuto in questi Paccheri imbottiti di cozze e glassati al sugo di scorfano, guazzetto di cicerchie e patate soffiate, una ricetta di un grande Hotel di Ravello, Palazzo Sasso Rossellini's, che mi ha incuriosito per la inteminabile quantità di alimenti da utilizzare nella realizzazione del sontuoso piatto, che immagino buonissimo.
     Beh, un monsù che si rispetti non poteva trascurare questo piatto, ma il sottoscritto, che non è un monsù, nè tantomeno rispettabile, preferisce una cucina più semplice, di padella, come si dice, lasciando ai grandi della tradizione della cucina le ricette più complesse.
     La sfida è realizzare un piatto con due soli ingredienti, un po' come gli spaghetti aglio e olio, ma che sia degno della cucina di un monsù. La dritta me l'ha data Antonino Cannavacciuolo, masterchef grande protagonosta del programma televisivo "Cucine da incubo", che ha messo insieme un primo che ho realizzato, assaggiato e, avendolo trovato eccellente, lo propongo su queste righe.

     Dunque, gli ingredienti per le solite 4 persone:
  • 2 spicchi di aglio
  • 50 cc di olio
  • 1 scalogno
  • 2 patate medie
  • 1 litro di brodo
  • 20-30 foglie di basilico
  • 200 gr di pasta mista (o quella che vi piace)
    Andiamo a realizzare:

  1. Preparo un olio all'aglio frullando 50 cc di olio con gli spicchi di aglio privati del germogli verdi.
  2. Faccio soffriggere in poco olio, in una padella capiente e dal bordo alto, lo scalogno e le patate tritate finemente; dopo un paio di minuti bagno col brodo e porto a cottura il tutto.
  3. Nel frattempo sbollento il basilico per un paio di minuti in acqua salata e lo raffreddo velocemente con acqua freddissima.
  4. Metto le patate, lasciando il brodo nella padella, in un frullatore con il basilico, fino a realizzare una crema.
  5. Nel frattempo porto a bollore l'acqua di cottura lasciata nella padella, aggiungo un po' di olio all'aglio e butto la pasta, aggiungendo se necessario altra acqua o brodo.
  6. Terminata la cottura, sistemo di sale e verso nella padella la crema di patate e basilico.
  7. Rimescolo il tutto e servo con un filo di olio all'aglio a crudo e un paio di foglioline di basilico.
Un piatto delizioso e profumato che lascia senza parole per la sua bontà unita alla sua semplicità sul quale ci bevo un bianco fermo e freddissimo come la Falanghina dei campi Flegrei.


Foto dal sito di Cannavacciuolo
   Alcune note:
  •  L'olio all'aglio è profumatissimo e per niente indigesto, se abbiamo avuto l'accortenza di togliere il germoglio verde.
  • Il basilico sbianchito ha un sapore più intenso di quello lasciato fresco.
  • Con questi ingredienti il piatto si attesta sulle 350 kcal/porzione, meglio non abbondare con la pasta.
 

domenica 25 giugno 2017

Tagliatelle ai gamberi e succo di arancia

L'estate e il mare sono un connubio perfetto ed anche la cucina estiva sposa questa affinità. Questo piatto è una rivisitazione di una ricetta dello chef Gianluca Nosari, che dapprima mi ha lasciato perplesso, ma poi, dopo averla provata, mi ha lasciato piacevolmente sorpreso ed ho deciso di inserirla nella cucina del monsù.
Foto del Nosari, ma rende bene l'idea
Quindi senza ulteriori indugi, procuriamoci per 4 persone:

  • 500 gr di gamberi di mare
  • 250 gr di tagliatelle all'uovo (fresche o secche oppure altra pasta, fate voi)
  • 100 cc di succo di arancia
  • mezzo bicchiere di vino bianco
  • 30-40 cc di olio extravergine
  • 3 cucchiai di passata di pomodoro
  • 3 cucchiai di granella di mandorle tostate
  • 1 ciuffo di prezzemolo
  • 1 spicchio di aglio
  • 2 gocce di limone
  • origano fresco (un rametto, facoltativo)
  • timo
  • sale
  •  pepe
Ed ora andiamo a cucinare:

  1. Sguscio i gamberi, conservando le teste, li pulisco eliminando il budellino (vedi qui) e li metto a marinare in una ciotola insieme al succo di arancia, l'origano, il timo, 2 gocce di limone e un pizzico di sale.
  2. In una padella faccio imbiondire l'aglio nell'olio, aggiungo le teste e i carapaci dei gamberi, tre cucchiai di passata di pomodoro e lascio cuocere qualche minuto sfumando con il vino bianco.
  3. Levo l'aglio e spremo le teste dei gamberi in uno schiacciapatate, raccogliendo i succhi nella padella stessa.
  4. Nel frattempo avrò messo a bollire la pasta in abbondante acqua salata.
  5. Scolo la pasta al dente fermo nella padella, la saltello un attimo, aggiungo i gamberi con tutta la marinata, un po' di scorza di arancia grattugiata, rimesto per un minuto quindi copro con un coperchio per un altro minuto.
  6. Servo con una spolverata di granella di mandorle e un ciuffo di prezzemolo
Ci bevo del vino bianco, fruttato e freschissimo, come il Fiano di Avellino


mercoledì 21 giugno 2017

Alici ripiene: parafrasi della ricetta 483 dell'Artusi

Si è già detto di Pellegrino Artusi, grande scopritore della cucina italiana, divulgatore che per primo, con un approccio didattico (“con questo manuale pratico – scrive – basta si sappia tenere un mestolo in mano”), ha aperto a tutti la possibilità di cimentarsi nell'arte della cucina: "la pretesa di diventare un cuoco di baldacchino non credo sia necessario per riuscire, di nascere con una cazzaruola in capo basta la passione, molta attenzione e l’avvezzarsi precisi: poi scegliete sempre per materia prima roba della più fine, che questa vi farà figurare. Il miglior maestro è la pratica sotto un esercente capace; ma anche senza di esso, con una scorta simile a questa mia, mettendovi con molto impegno al lavoro, potrete, io spero, annaspar qualche cosa..." 

E proprio per "annaspar qualche cosa" propongo una ricetta del Pellegrino rivisitandola leggermente (alici al posto delle sarde) ma solo per gusto mio, avendo trovato in questo piatto poco impegno e tanto gusto.

La ricetta "originale" n. 483 "Sarde ripiene" dell'Artusi:
 
Per questo piatto ci vogliono sarde delle più grosse.
Prendetene da 20 a 24 che tante bastano per la quantità del ripieno qui sotto descritto. Le sarde lavatele, togliete loro la testa, e con le dita sparatele dalla parte del buzzo per estrarne la spina. Formate un composto con:
Midolla di pane, gr. 30;
acciughe salate, n. 3;
un rosso d'uovo;
mezzo spicchio d'aglio;
un pizzico di regamo.
La midolla di pane inzuppatela nel latte e poi strizzatela. Le acciughe nettatele dalle scaglie e dalla spina, e poi tritate e mescolate ogni cosa insieme servendovi per ultimo della lama di un coltello per ridurre il composto ben fine. Spalmate con esso le sarde e richiudetele; indi tuffatele ad una ad una nella chiara d'uovo rimasta, dopo averla sbattuta, avvolgetele nel pangrattato, friggetele nell'olio, salatele alquanto e servitele con spicchi di limone.

La ricetta "rivisitata"; per quattro persone farei:
  • 48 Alici (sarde), lavate, aperte e diliscate (diciamo 6 a testa ?)
  • 70-80 gr di mollica di pane
  • 5-6 acciughe salate, pulite, diliscate e lavate
  • un uovo (rosso e tuorlo separati)
  • uno spicchio di aglio
  • latte q.b.
  • pangrattato q.b.
  • Origano un bel pizzico
  • sale e pepe q.b. 
  • Olio per friggere (extravergine o di semi di arachidi)
  • Succo di limone (facoltativo)
  1. Ammollate la mollica di pane nel latte, e strizzatela bene.
  2. Fate un impasto con la mollica di pane, l'aglio, le acciughe, il tuorlo e l'origano.
  3. Tritate finemente il tutto fino ad ottenerne un impasto abbastanza cremoso.
  4. Spalmate l'impasto su una alice, chiudete a sandwich con un altra alice.
  5. Bagnate il sandwich ottenuto nel bianco d'uovo, passatelo nel pangrattato e infine friggetelo in abbondante olio (immersione a 170-175°).
  6. Salate, pepate e servite ben caldo con qualche gocca di limone (a chi piace).



Da bere consiglio un vino profumato di frutta come la Falanghina del Beneventano.



La storia di un libro che rassomiglia alla storia di Cenerentola

Vedi giudizio uman come spesso erra


Pellegrino Artusi, autore de “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene“, nacque a Forlimpopoli il 4 agosto 1820, da Teresa Giunchi e Agostino.
L'incursione a Forlimpopoli, il 25 gennaio 1851, da parte del brigante Stefano Pelloni, detto il Passatore, decise della vita della famiglia Artusi. La banda del celebre brigante, dopo aver tenuto in ostaggio i nobili forlimpopolesi nel teatro cittadino dove si erano radunati per uno spettacolo, fece irruzione nella casa del futuro gastronomo e dopo aver fatto man bassa di denaro e oggetti preziosi, malmenarono Pellegrino e ne violentarono Gertrude, una delle sue sorelle, che per lo spavento impazzì e fu internata in manicomio.
La famiglia Artusi lasciò Forlimpopoli e si trasferì nel più sicuro Granducato di Toscana, a Firenze, dove Pellegrino, poco più che trentenne, si dedicò, con un certo successo, all’attività commerciale. Artusi continuò a vivere in Toscana dove morì nel 1911 a 91 anni, ma mantenne sempre vivi i rapporti con la città natale.
Pellegrino Artusi godette di una vita agiata, senza mai perdere di vista le sue passioni per la letteratura e la cucina. Quando Firenze divenne capitale (1865) cambiò casa e si ritirò a vita privata, dedicandosi a tempo pieno ai suoi interessi culturali, scrivendo prima una biografia di Foscolo e poi “Osservazioni in appendice a 30 lettere del Giusti“. Entrambi i libri furono pubblicati a sue spese, senza grande successo, quel successo che sarebbe arrivato con “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene“, pubblicato nel 1891 a spese dell’autore “pei tipi dell’editore Landi“. Prima edizione: 1.000 copie.

Il libro non ebbe dapprima grande successo "Avevo data l’ultima mano al mio libro La scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene, quando capitò in Firenze il mio dotto amico Francesco Trevisan, professore di belle lettere al liceo Scipione Maffei di Verona. Appassionato cultore degli studi foscoliani, fu egli eletto a far parte del Comitato per erigere un monumento in Santa Croce al Cantor dei Sepolcri. In quella occasione avendo avuto il piacere di ospitarlo in casa mia, mi parve opportuno chiedergli il suo savio parere intorno a quel mio culinario lavoro; ma ohimé! che, dopo averlo esaminato, alle mie povere fatiche di tanti anni pronunziò la brutta sentenza: Questo è un libro che avrà poco esito." (Pellegrino Artusi: prefazione "La storia di un libro che rassomiglia alla storia di Cenerentola" a "La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene", edizione 1906)

Ma il successo alla fine arrivò e fu travolgente: in vent’anni Pellegrino stesso ne curò 15 edizioni; nel 1931 le edizioni erano giunte a quota 32 e l'”Artusi” (ormai veniva chiamato con il nome del suo autore) era uno dei libri più letti dagli italiani, insieme a “I promessi sposi” e “Pinocchio“. (1)

Col darci questo libro voi avete fatto un’opera buona e perciò vi auguro cento edizioni (Paolo Mantegazza, 1893) 

“La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” costituì un vero e proprio spartiacque nella cultura gastronomica dell’epoca. All’Artusi va il merito di aver dato dignità a quel “mosaico” di tradizioni regionali, di averlo per la prima volta pienamente valorizzato ai fini di una tradizione gastronomica “nazionale”.

Il volume, che ancora oggi conta un grande numero di edizioni e una vastissima diffusione, raccoglie 790 ricette, dai brodi ai liquori, passando attraverso minestre, antipasti (anzi “principii”), secondi e dolci. L’approccio è didattico (“con questo manuale pratico – scrive Artusi – basta si sappia tenere un mestolo in mano”), le ricette sono accompagnate da riflessioni e aneddoti dell’autore, che scrive con uno stile arguto.

Artusi: per antonomasia libro di cucina. Che gloria! Il libro che diventa nome! A quanti letterati toccò tale sorte? Era l’Artusi di Forlimpopoli… cuoco, bizzarro, caro signore, e molto benefico, come dimostrò nel suo testamento; e il suo trattato è scritto in buon italiano. E non era letterato né professore. (Alfredo Panzini, 1905)

(1) Alcuni paragrafi sono tratti dal sito dedicato a Pellegrino Artusi


 

giovedì 15 giugno 2017

Lo zucchero: veleno bianco?

Perché lo zucchero bianco? Perché è l’emblema della disinformazione, della malafede, della stupidità e delle bufale che imperversano nel web.
Ad una quindicina di amici ho chiesto cosa ne pensassero dello zucchero bianco e dalle risposte ricevute ho tratto delle conclusioni.
In particolare lo zucchero bianco sarebbe nocivo perché:
  • non è naturale
  • è tale perché sbiancato con la calce
  • è raffinato e quindi privo di valore nutrizionale
Di contro lo zucchero di canna farebbe bene perché: 
  • è naturale
  • è integrale
  • non è raffinato
  • è ricco di nutrienti
Cercherò di fare un po’ si ordine:
https://dulceideabloguea.files.wordpress.com/2015/10/whitecrystalsugar.jpg?w=400&h=233
Cristalli di saccarosio
1 - Lo zucchero (saccarosio) è un carboidrato, che a temperatura ambiente si presenta sotto forma di cristalli naturalmente bianchi. Il saccarosio è bianco così come il cloruro di sodio (sale da cucina) o il bicarbonato o il gesso. Bianco! (1) 

2 - Il saccarosio (zucchero) si estrae indifferentemente da due fonti: dalla barbabietola (25%) o dalla canna da zucchero (75%). Da tali vegetali, con modalità differenti nei due casi, in quanto sono differenti le parti della pianta da cui viene estratto (tubero o fusto), si estrae il cosiddetto "sugo zuccherino", di colore bruno scuro a causa delle impurità che è necessario allontanare.
Il “sugo” è quindi composto di saccarosio (65-68%) e impurità: sali minerali, acidi organici (malico, ossalico, citrico e tartarico), basi azotate, composti fosforati e colloidi di origine vegetale. Il “sugo” della barbabietola ha un pessimo sapore e deve essere totalmente purificato per ottenere il saccarosio puro che è solamente dolce. Quello della canna da zucchero è invece di sapore gradevole e viene volutamente lasciato come piccola impurità dello zucchero allo scopo di ottenerne un gusto leggermente diverso dal solo dolce. Il "sugo" centrifugato si chiama "melassa". 

Zucchero di canna con vari tenori di impurità
3 - In entrambi i casi la melassa viene sottoposta ad una chiarificazione più o meno spinta con l’utilizzo di idrossido di calce (calce spenta) e acido fosforico che formano un precipitato di fosfato di calcio. Le particelle di fosfato di calcio "intrappolano" alcune impurità e ne assorbono altre e quindi risalgono in superficie, formando sul filtro un pannello o schiuma che può essere facilmente scremato via. Un procedimento alternativo è quello della "carbonatazione", cioè l'utilizzo di anidride carbonica (al posto dell'acido fosforico), che produce un precipitato di carbonato di calcio, che è insolubile e facilmente asportabile. Su Wikipedia si possono trovare le modalità di produzione dello zucchero.(2) (3)

4 - Quindi lo zucchero è saccarosio in cui possono essere volutamente aggiunte/lasciate impurità che arrivano al più al 5%. Queste danno origine allo zucchero bruno (di colore via via più scuro a seconda della percentuale di impurità) o allo zucchero bianco. 

5 - Una volta ottenuto il saccarosio, la sua origine non ha più importanza perché le molecole di una certa sostanza sono tutte uguali, non esiste la molecola bianca dello zucchero da barbabietola e quella marrone dello zucchero di canna. Quindi parlare di zucchero di canna o di zucchero di barbabietola, dal punto di vista chimico e sugli effetti nel nostro corpo, non ha alcun senso se non commerciale, tanto è vero che alcuni produttori propongono uno zucchero bruno addizionando melassa (da canna) allo zucchero bianco (di qualsiasi provenienza) ottenendo, così, un prodotto scuro.

6 - Che lo zucchero di canna sia più sano e naturale perché ricco di sostanze nutritive è una bufala; per fare un semplice esempio, prendiamo il valore di una delle sostanze presenti nello zucchero grezzo: il potassio. 100 gr di zucchero grezzo contengono 133 mg di potassio nel mentre la “dose suggerita” dalle tabelle nutrizionali, per il potassio, è di 4700 mg/giorno. Questo significa che per raggiungere la dose suggerita, mangiando solo zucchero bruno, dovremo ingerirne 3,5 chili al giorno! Inoltre 100 gr di banana contengono 358 mg di potassio, cioè l’equivalente di 270 gr di zucchero bruno o 150 caffè zuccherati con zucchero di canna al giorno. Inoltre la presenza di calcio, nello zucchero bruno, come il muscovado, non è insito dello zucchero, ma proviene dalla chiarificazione con la calce. Questo significa che le qualità nutrizionali dello zucchero bruno sono presenti in quantità talmente piccole da essere praticamente nulle: cioè, non ci si nutre con lo zucchero di canna!

7 - Il valore calorico dello zucchero è praticamente equivalente in entrambi i casi (bianco 392, canna 360 per la presenza delle impurità) e non è tale da determinare una netta preferenza, quindi non ci si ingrassa di meno prendendo zucchero di canna.

8 - Lo zucchero fa male, qualunque sia la sua origine e va preso con moderazione qualunque sia la sua provenienza, e questa è l'unica, effettiva, sacrosanta verità tenendo presente che il consumo italiano di zucchero è di circa 24 kg/pro capite più basso quindi di quello della media del resto europeo (32 kg) . 
Queste semplici considerazioni illustrano come attorno ad una problematica del tutto ininfluente si possano creare falsi miti e alimentare sciocche credenze. Leggi articoli Di Dario Bressanini (5) (6)

Un altro spauracchio su cui l’ignoranza e la malafede vivono e vegetano è la questione delle lavorazioni:
  • Grezzo significa non lavorato e quindi viene inteso come sano. Questo è un errore perché per grezzo si intende un prodotto la cui lavorazione non è stata portata a termine. Nessuno si sognerebbe di inzuppare un pezzo di barbabietola o di canna da zucchero per addolcire il caffè così come nessuno si porterebbe a casa un ceppo di legno per farne tavoli e sedie, al più posso acquistare un tavolo grezzo, cioè non rifinito, oppure smontato, ma che sia già un tavolo.
  • Raffinazione significa purificazione, depurazione. L’acqua che beviamo subisce un processo di purificazione naturale (acque di sorgente) o artificiale (acque di acquedotto) in entrambi i casi vengono eliminate le impurità sia quelle nocive (batteri) che quelle organolettiche (cloro). Il processo di raffinazione dello zucchero ha l'unico scopo, come abbiamo detto in precedenza, di eliminare le impurità dal saccarosio.
  • Integrale, cioè che non manca di nulla. Questa definizione ha senso in alcuni casi (pane, farine, riso, … ) ma non nello zucchero. Lo zucchero integrale sarebbe la “melassa” così com'è. Il D.lgs. 51 del 2004 non menziona, per lo zucchero, né il termine “grezzo”, né tantomeno quello “integrale”, quindi le diciture sulle confezioni hanno solo valore "commerciale" e non identificano il grado di purezza (o di impurità) dello zucchero.
Sulla rete si leggono spesso catastrofiche descrizioni sulle pericolosissime lavorazioni dello zucchero tramite sostanze chimiche velenosissime e cancerogene.
Da una parte ho letto che lo zucchero bianco avrebbe fatto 35 milioni (sic!) di morti, ma  si capisce che è stato il diabete per il quale, qualunque zucchero, anche l'amido o il lattosio, può essere pericoloso.
Si citano sempre "recenti studi" di oscuri ricercatori universitari, ma si sa che i ricercatori pubblicano tutto quello che possono, anche teorie, per ottenere la docenza e poi, data la diffusione dello zucchero, uno studio serio dovrebbe coinvolgere milioni di persone e non poche decine, come spesso avviene.

È tipico di chi non ha argomenti oggettivi, per ignoranza o spesso per malafede, fare ricorso al linguaggio terroristico: "perdita e distruzione", "velenosissimo acido", "complesse trasformazioni industriali", per non parlare poi del termine che maggiormente fa presa e paura: "cancerogeno". Basta accennare soltanto a quella parola che si scatenano le più inconsce fobie dopo di che tutti corrono ad abbeverarsi, senza alcun discernimento, alle fonti alternative che spesso sono bufale.
Bisogna tenere presente che dietro il cibo c'è spesso l'industria dell'alimentazione  che "spinge" per vendere questo o quel prodotto, oppure ciarlatani, anche titolati, per fasi pubblicità, facendo opera di terrorismo o millantando proprietà miracolistiche che non esistono.
Si raccontano poi cose vere ma dipingendole a tinte fosche, sempre per spaventare. Si vuole suggerire che poiché vengono utilizzate delle "sostanze chimiche", allora il prodotto finale è "velenoso". Niente di più falso. 
Se si crede che "chimico" sia sinonimo di "veleno" mentre "naturale" sia sinonimo di "salutare" basta pensare al bicarbonato di sodio (prodotto chimico) che viene utilizzato anche in cucina o per sbiancare i denti, mentre si potrebbe chiedere a Socrate se avesse gradito la tazza di infuso di cicuta (prodotto naturale); e si pensi alle complesse lavorazioni che subisce la soia, alimento assai di moda, per farne diventare qualsiasi cosa.

Nella purificazione dello zucchero vengono usate sostanze consentite e delle quali non resta traccia:
  • Latte di calce che si trasforma in composti che vengono allontanati dallo zucchero così come si schiuma un brodo di carne per allontanarne il grasso affiorante. L'idrossido o latte di calcio è un additivo alimentare consentito e siglato E 526. Viene utilizzato in piccoli quantitativi in diversi prodotti, come per esempio nel latte per neonati, nel vino, nelle birre, nei liquori, nei gelati, nei piselli in scatola e nel succo d'uva. Una soluzione di idrossido di calcio e zucchero (1:3) viene usata per regolare l'acidità negli alimenti congelati. Trova inoltre applicazione per rinforzare la struttura dei vegetali durante la lavorazione. Non si conoscono effetti collaterali negativi sulla salute dell'uomo.
    Tratto da http://www.my-personaltrainer.it/additivi-alimentari/E526-idrossido-di-calcio.html
  • Il carbone attivo, innocuo componente adsorbente e degasante utilizzato nella purificazione dell’acqua, nella decolorazione nell'industria alimentare ecc...
  • Il "velenosissimo acido solforoso" (in realtà anidride solforosa) può rimanere nello zucchero solo in tracce (inferiori a 15 mg/kg), mentre in moltissime preparazioni alimentari l'anidride solforosa viene comunemente utilizzata come conservante. Il vino la contiene naturalmente con soglie massime fissate dalla UE di 160 mg/litro per i vini rossi e 210 mg/litro per i vini bianchi (in Italia 200 mg/litro), con limiti superiori ancora più alti per vini dolci e spumanti. Almeno dieci volte superiori a quelli dello zucchero.
"Se volessi spaventare qualcuno potrei invertire il gioco, e dire che è lo zucchero integrale ad essere pieno di sostanze tossiche e velenose, che fortunatamente vengono eliminate nella raffinazione. Potrei portare ad esempio le api, che muoiono quando ingeriscono dello zucchero che contiene ancora della melassa, o dire, ad esempio, che la melassa contiene cromo, e tutti sanno come il cromo sia un metallo molto velenoso, che ha causato più di una contaminazione di terreni. Insomma, spaventare e appigliarsi al lato emotivo delle persone è molto facile... ". Dario Bressanini (7)

Sui siti segnalati nelle note si possono trovare le fonti attendibili, perché scientifiche, ed esaustive di queste mie modeste note; per gli amanti dei video, su Youtube é presente un video del prof. Dario Bressanini, chimico ricercatore presso il dipartimento di Scienze chimiche e ambientali dell'Università degli studi dell'Insubria a Como, che riprende in maniera efficace questi argomenti (8).
Delle bufale sullo zucchero sarà argomento di un prossimo articolo

In conclusione lo zucchero bianco non è un veleno e non va demonizzato se non quando se ne faccia un abuso alimentare, ma questo vale anche per qualunque alimento; personalmente scelgo lo zucchero bruno perché… me ne piace il sapore e non per taumaturgiche ed inesistenti virtù.

[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Saccarosio
[2] https://it.wikipedia.org/wiki/Produzione_dello_zucchero#Produzione_dello_zucchero_di_canna
[3] https://it.wikipedia.org/wiki/Produzione_dello_zucchero#Produzione_dello_zucchero_di_barbabietola

[5] http://bressanini-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/2009/04/06/miti-culinari-5-le-virtu-dello-zucchero-di-canna/

[6] http://bressanini-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/2009/06/03/miti-culinari-6-lo-zucchero-veleno-bianco/

[7] http://bressanini-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/2009/06/03/miti-culinari-6-lo-zucchero-veleno-bianco/

[8] https://www.youtube.com/watch?v=sOLg5OAkgq0&list=PLTZe6-ib6ktozYKhL7vgHr8gSTYzVbWcd&index=1