mercoledì 27 aprile 2016

Siamo tutti Masterchef



C’era una volta la “Prova del cuoco”, con una giunonica, ironica e saltellante Antonella Clerici che si divideva tra “peperoni” e “pomodori” in una festosa e variopinta gara gastronomica senza troppe pretese e destinata ad un pubblico casalingo, disimpegnato ma conservatore per il quale, se avessi trasgredito a certe regole benpensanti, venivi buttato fuori dalla trasmissione, come capitò al povero Beppe Bigazzi, reo di avere esaltato, assolutamente non previsto nella scaletta della trasmissione, le proprietà della carne di gatto e suggerito (orrore!) una ricetta.
    Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti, adesso i programmi TV dedicati alla cucina sono una trentina, da Masterchef, in varie salse, a Cucine da Incubo, dal Boss delle Cerimonie a quello delle Torte, da Cucina con Ale ad Alice TV, e poi Cuochi e Fiamme, i Menù di Benedetta, Cucina con Ramsay e così via, una sfilza eterna.
    A seguire questi programmi dovremmo trascorrere il nostro tempo davanti alla TV e non ne avremmo per cucinare una sola di quelle ricette; sono milioni e a farle tutte non basterebbe una vita.
    Per non parlare dei libri di cucina che vanno di pari passo con le trasmissioni TV, e che dire dei social, anch'essi zeppi tra l’altro di migliaia di ricette e dei food-blog, una pletora di siti copia e incolla di preparazioni per tutti i gusti e sempre uguali tra di loro.
   Un grande chef, uno di quelli veri per intenderci, mi confessò che per cucinare bene basterebbe seguire l’Artusi dal quale trarre eventuali variazioni ed evoluzioni, ma purtroppo il food è uno dei settori trainanti dell' economia e quindi oggetto di una attenzione a dir poco parossistica da parte dell'industria del cibo.
   E’ il settore che ha raggiunto negli ultimi dieci anni, un boom straordinario; ristoranti e ristorantini sono spuntati come funghi e fatte salve alcune soluzioni tradizionali, ci si è buttati su scimmiottamenti a basso costo dei grandi chef stellati.
  Siamo tutti Masterchef e quindi c’è un pullulare di proposte di grande impatto linguistico come “Mezzemaniche di Gragnano con mazzancolle del Tirreno ai pomodorini di Corbara” oppure di grande arditezza negli abbinamenti come “Risotto con cipolla ramata di Montoro, sauro bianco affumicato, alga croccante al profumo di limone e peperoncino”oppure “Zuppa di arance di Corbara con peperoncino verde di fiume ripieno di murena, calamari e bottarga".
    Passi per i grandi Masterchef, più o meno stellati ed autoreferenziati, salvo poi assistere a brusche cadute di stile quando vanno a pubblicizzare dadi da brodo o patatine industriali, ma la tendenza attuale è che anche le piccole realtà, quelle che un tempo erano chiamate osterie, trattorie ed ora "ristorantini", hanno imparato la lezione e si sentono grandi firme della cucina.
   Il fatto è che a fronte di una concreta ricerca sui sapori e della qualità dei prodotti, in questi ristorantini si utilizzano molto spesso cibi poveri e locali, spesso ben cucinati e presentati, ma pur sempre cibi di basso costo che non giustificano un certo aumento dei prezzi; laddove in una onesta osteria tradizionale te la cavavi, per una cena, con 25-30 euro a testa, in questi localini si va dai 35-40 euro in su e lo stessa vale per la pizza: una buona pizza a lievitazione lunga e naturale con pomodoro San Marzamo DOP, mozzarella di bufala campana DOP, olio extravergine certificato italiano va sui 10-12 euro, per cui pizza e birra oggi viene 20-25 euro a testa. 
   Ora, se sei bravo, offri realmente un prodotto che soddisfa veramente il palato nel mentre la coraggiosa combinazione di sapori ci regala una nuova e sofisticata percezione del gusto, altrimenti, nella maggior parte dei casi, ci troviamo di fronte ad un insapore e mal riuscito esperimento, reboante nel nome e nelle presentazione, ma senza spessore, senza personalità e senza gusto.
   Di contro l'industria del cibo ci offre il moltiplicarsi forsennato di prodotti "irresistibili", presenti sui banchi dei supermercati e ai quali "non dobbiamo" reagire; come anime vaganti ci muoviamo, a ritmo di musiche anonime, tra i gironi del Supermegafantamercatone, solo per acquistare qualcosa, non importa a che sopo: guardiamo, tocchiamo, leggiamo: colori, pubblicità, certezze sull'etichetta, dubbi nella scatola, il carrello si riempie di prodotti di gomma con l’etichetta ecologica, certificata, no OGM, no pesticidi, no ratticidi, coltura biologica, 30% di grassi in meno, gluten-free, vegan, pronto in 5 minuti e, per finire, RICCO DI FIBRE… quasi a presagire l’unica cosa buona che si possa fare con un cibo del genere!  
  Questa bulimia va di pari passo con un' altra delle ossessioni del nostro mondo quella delle diete. I due fenomeni sono solo apparentemente in contraddizione, ma in realtà la loro combinazione è una perfetta metafora del nostro modello di sviluppo. Noi dobbiamo ingurgitare, cioè consumare, il più possibile, ma anche espellerlo il più rapidamente possibile. È la Crescita, bellezza (1).
  Il fatto è che ciò che cresce deve essere rapidamente distrutto per poter ricominciare, se così non fosse salterebbe tutto il meccanismo su cui si sostiene la nostra società.
  È il sistema che ne ha estremo bisogno per non collassare, che ci convince, attraverso mille stimoli pubblicitari, vero motore di tutto, a consumare non perché ci piaccia e/o ci sia utile, ma perché si possa continuare a produrre.
  L' uomo, ridotto a consumatore, è il water attraverso cui deve passare il più velocemente possibile ciò che altrettanto velocemente produciamo.
  E questa bulimia si sviluppa dalla necessità di riempire il vuoto di valori che si è creato in una società come la nostra dove il grande nemico non è la fame, ma l’abbondanza la quale si porta dietro il suo minaccioso carico di sensi di colpa, fobie e idiosincrasiee che ci rende così vulnerabili di fronte a culture e a mondi più spartani (2).
Da "Il gastrolabio.it"
   Non si tratta di nutrirsi di muschi e licheni come gli asceti e gli eremiti ma di ritrovare un onesto equilibrio nel nostro rapporto con il cibo e con tutto il resto.
  “E io ho una grande nostalgia di quando con qualche amico si mettevano le gambe sotto il tavolaccio di una trattoria, con pane, salame e un buon bicchiere di rosso senza farsi le seghe mentali dei niente affatto innocenti cuochi alla moda”(Massimo Fini).

1) Parafrasi dal film "L'ultima minaccia (Deadline) - 1952 di Richard Brooks. Humphrey Bogart, direttore di un giornale, risponde al telefono alle minacce di un boss della malavita: "E' la stampa, bellezza! E' la stampa! E tu non puoi farci niente! Niente!", mentre il rumore delle rotative in sottofondo annuncia, con l'uscita dell'edizione, che la stampa non p essere fermata.
2) Vedi il post "Dall'homo sapiens all'homo hortoressicus"

 

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