venerdì 15 agosto 2014

Caramelle

       Durante una vacanza a Maratea, ho portato mia figlia Fiammetta, allora di 5 anni, sul monte Sirino, estrema propaggine meridionale del Parco nazionale dell'Appennino Lucano Val d'Agri Lagonegrese.
Passeggiando per i sentieri, tra le siepi e gli arbusti, abbiamo avuto modo di mangiare i lamponi, che mia figlia non aveva mai visto prima, né tanto meno assaggiato; ebbene, ricordo il commento che Fiammetta fece tra le risate generali: “Ma, sa di caramella!”
Proprio così, abituata ai gusti preconfezionati, il lampone aveva perso la sua identità di frutto del bosco e aveva assunto quella della sua trasformazione: la caramella incartata e inscatolata.
Purtroppo è quello che accade tutti i giorni a noi consumatori costretti, tra i banchi dei supermercati, a prendere quello che la grande distribuzione ci offre: una grande scelta, è vero, ma sapore, freschezza e genuinità sono un’altra cosa, ci si vuole nutrire di "caramelle", insomma.
Alcune si mostrano nella loro natura artificiale, incartate nel cellophane, arrogandosi il diritto di dimostrare l'artificiosità del loro essere, una sorta di gay-pride del cibo di industria, ma accattivante ed ammiccante al consumatore: una caramella ai lamponi che non somiglia per niente al lampone, ma confezionata per sembrare più bella del lampone.
Altre, più subdolamente, simulano una sorta di autenticità del loro essere, con l'apparenza di un cibo vero, nudo, così com'è; ma sotto la scorza della genuinità e della naturalezza, si nascondono trattamenti chimici, OGM, serre, ibridi e quant'altro possa servire a mettere sul mercato prodotti di bell'aspetto ma lontani anni luce da quello che vorrebbero rappresentare: una caramella al lampone a forma di lampone, ma che non è un lampone.




A Bacoli, dove mi sono trasferito ad qualche anno, si trovano ancora dei contadini che attendono al proprio piccolo podere, pochi moggi, dove si può acquistare, a prezzo ragionevole, frutta e verdura che godono delle tre importanti caratteristiche: la “filiera” corta, anzi che più corta non si può, poche centinaia di metri; la sicura stagionalità e la freschezza assoluta, perché il prodotto è praticamente ancora “vivo”, colto davanti ai nostri occhi.
E' come andare nel bosco, raccogliere un cestino di lamponi, veri lamponi, naturali, che sanno di lamponi e che sono lamponi.
Non va trascurata, inoltre, la possibilità di trovare dei prodotti “dimenticati” perché non convenienti alla grande distribuzione e che possiamo trovare anche nei mercatini rionali, così come nei consorzi di coltivatori, come la Confagricoltura o la CIA (Confederazione Italiana Agricoltori), che offrono spesso prodotti “locali”, coltivati a pochi chilometri di distanza, oppure rari come le "torzelle" o le mele "limoncelle", piccole, brutte ma saporitissime. 
Sono un fan dei piccoli agricoltori e dei mercati dei consorzi perché, oltre ad trovare prodotti freschi e ad un prezzo più conveniente, ritengo di dover dare una mano a questi artigiani dell’agricoltura nel sopravvivere alla morsa devastante della grande distribuzione, oltre a difender un bene preziosissimo, che è la biodiversità, e che sta scomparendo.
A rischio di estinzione:

La (Ri)scoperta delle "torzelle"

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