venerdì 30 maggio 2014

La sacra pizza (6): Giudici

Molti furono gli artisti, gli studiosi, i poeti , i compositori che si occuparono della Pizza e mai cibo ebbe tanti estimatori e suscitò tanta voglia di parlarne.
Testimoni e memorialisti dei costumi del popolo napoletano, ma anche scrittori e musicisti da Matilde Serao a Salvatore Di Giacomo a Libero Bovio e Raffaele Viviani, non mancano di registrare e celebrare la presenza di questo alimento nella vita del popolo. 
Matilde Serao, cronista attenta della vita della sua città e direttrice de “Il Mattino”, soleva fermarsi in carrozzella ai piedi della salita di S. Anna di Palazzo e ordinare (presso la Pizzeria Brandi) una pizza che avrebbe gustato poi, fredda, durante la notte al giornale.

Se ne occupò anche estesamente Alessandro Dumas figlio, nel corso di una serie di suoi scritti di viaggio: il "Corricolo". Scrisse che "…la pizza è una specie di schiacciata come se ne fanno a St. Denis: è di forma rotonda, e si lavora con la stessa pasta del pane. A prima vista è un cibo semplice: sottoposta a esame, apparirà un cibo complicato
Quel riferimento alle schiacciate di St. Denis ci conferma che una sorta di pizza è cibo universale: mentre un certo modo di cuocere e di guarnire il disco di pasta è invece tutto napoletano, ed è quello che ha conquistato il mondo[1].

Finalmente, si parla molto di Pizza anche in una celebre opera "Usi e costumi di Napoli" di un autore francese: il De Bourcard. Siamo verso la metà del XIX secolo: "La pizza non si trova nel vocabolario della Crusca, perché si fa col fiore (di farina) e perché è una specialità dei napoletani…Le focacce e le schiacciate sono alcunché di simile, ma sono l'embrione dell'arte"[2].
E qui sta il punto, si riconosce che dovunque si fanno focacce e schiacciate, ma la "Pizza" è esclusivamente tutta napoletana e non esiste un altro posto dove si faccia la Pizza buona come a Napoli.

Scrive Jeanne Caròla Francesconi[3]: "C'è bisogno di dire come si fa una pizza? Di descrivere gli esperti maneggiamenti del pizzaiolo perché il panetto di pasta (lievitato col "crisceto" di pane) venga appiattito perfettamente rotondo e più sottilmente al centro che ai bordi? E gli altri rapidi gesti coi quali vi sparge in misura controllata, pomodoro, formaggio, mozzarella, e vi versa l'olio? E il colpo secco con il quale la pizza, prima trasferita sulla pala, viene fatta scivolare nel forno a giusto calore, e poi rigirata perché ogni settore venga direttamente esposto al calore, e il bordo si punteggi di bollicine bruciacchiate? E come con altro abile colpo, ripresa sulla pala scivoli poi nel piatto e venga posta ancora sfrigolante davanti al cliente che in attesa che si sbollenti, la giudica con gli occhi, da intenditore ne controlla cottura e condimento pregustandola e, se è un esperto, se la piega poi in quattro, a libretto, e classicamente se la mangia con le mani".
A questo proposoto, si racconta l’aneddoto del regista Vittorio De Sica che, dal celebre Ciro a Santa Brigida: lasciava che i suoi amici si sedessero a un tavolo e restava in piedi vicino al forno per assaporare prima che si raffreddasse anche per un solo istante, la sua “marinara”, ovviamente piegata "a libretto.






[1] Vincenzo Bonassisi - "Il libro della pizza" - Fabbri Editori
[2] Vincenzo Bonassisi - op. cit.
[3] Jeanne Caròla Francesconi - "La cucina napoletana" - Etas Libri - Milano 1977