venerdì 2 novembre 2012

La Sacra Pizza (1): Genesi


     In principio era il Caos e Dio disse: "?" e voleva dire: "MÒ CHE FACCIO CON QUESTO CASINO?", e fece il cielo e le stelle, il mondo, le montagne e i mari; e popolò di animali la terra, di uccelli il cielo e di pesci il mare. 
     Ma Dio si accorse che mancava qualcosa e inventò il Verbo, guardò il Creato e disse: "VA!" e voleva dire: "NON VA ANCORA BENE!"; allora sputò per terra e dalla terra nacque l'uomo il quale asciugandosi il viso disse: "Accuminciammo!" e voleva dire: "Incominciamo bene! [1]".
     L'uomo guardò Dio e disse; "Sei?" e voleva dire: "Chi cazzo sei?" e Dio guardò l'uomo e disse: "SAREBBE SEI? ..... SONO!" e voleva dire: "COME SAREBBE "CHI CAZZO SEI?" IO SONO IL SIGNORE DIO TUO!" ma l'uomo che non capiva cosa volesse dire, non solo non rimase impressionato, ma non se fregò per niente.
     E Dio, allora, per dimostrare la Sua potenza ed ingraziarsi l'uomo creò la donna, la quale guardando l'uomo disse:"E'?" e voleva dire "E' tutto lì?"
     Allora Dio decise che mancava ancora qualcosa e inventò il sostantivo, l'aggettivo, il pronome, l'avverbio, la preposizione e la congiunzione; e fu di nuovo il Caos.
     L'uomo incominciò a parlare in tutte le lingue e il Signore, pur essendo quello che era, faceva fatica a capirlo, figuriamoci gli uomini tra di loro.
     E allora Dio, che non poteva dire parolacce in prima persona, mandò l'arcangelo Gabriele con la spada fiammeggiante che disse: "CI AVETE ROTTO I COGLIONI!", e voleva dire "NON SE NE PUO' PIU' DI VOI UMANI, ANDATE A LAVORARE COL SUDORE DELLA FRONTE!" se ne andò, maledicendo l'uomo.
     E l'uomo maledetto dal Signore andò ramengo per il mondo e lavorò la terra col sudore della propria fronte e la seminò, nacque così il grano, il mais, il riso o il farro a seconda dei posti.
     L'uomo rimase soddisfatto di quello che aveva fatto e subito assaggiò il frutto del proprio lavoro e disse: "Puah!, mérde, shit, Struntz, merda, ke-skiph-hez, ka-kka, te- pos-sìn, ghe sghifo, naka-kata etc…" a seconda della lingua del posto.
     E anche la donna assaggiò il frutto del lavoro dell'uomo e disse: "Te l'avevo detto io che sarebbe stato uno schifo; tu non mi stai mai a sentire, fai sempre di testa tua; come puoi pensare di lavorare la terra col sudore schifoso della tua fronte, ci voleva l'aratro o il trattore; ah, ma perché ho sposato un imbecille che non sa neanche inventare una vanga, me lo diceva mia madre, etc..." (tralasciamo per brevità la traduzione nelle altre lingue, tanto il concetto non cambia).
     Allora l'uomo prese un grosso masso e lo scagliò verso la donna, ovviamente la mancò, ma spiaccicò il frutto del proprio lavoro e vide che ne usciva una farina; cautamente l'assaggiò e disse: "Puah!, mérde, shit, Struntz, merda, ke-skiph-hez, ka-kka, te-pos-sìn, ghe sghifo, naka-kata etc…" a seconda della lingua del posto.
     La donna, sdegnata, si astenne dal commentare ulteriormente, temendo che l'uomo aggiustasse la mira, si allontanò e da quella notte rifiutò di farsi conoscere dall'uomo.
     Durante la notte piovve e l'acqua si mescolò a quella farina e ne venne fuori una pappetta immonda e la pappetta lievitò, si gonfiò e crebbe fino a raggiungere la dimensione di un pallone.
     Al mattino l'uomo si svegliò, incazzato come una biscia, perché non aveva potuto conoscere la donna, e vide il frutto del proprio lavoro divenuto un pallone; cautamente si avvicinò e ancor più cautamente l'assaggiò ma tornò a ripetere: "Puah!, mérde, shit, Struntz, merda, ke-skiph-hez, ka-kka, te-pos-sìn, ghe sghifo, naka-kata etc…" a seconda della lingua del posto. L'uomo  deluso per tanto lavoro finito in pappa spiaccicò, con un bastone, quella "cosa" sulla pietra e giurò che mai più avrebbe seminato col sudore della propria fronte e se ne andò a caccia; era più sicuro.
     Il sole arroventò le pietre e nel pomeriggio la donna, passando per il luogo dove giaceva la "cosa" spiaccicata, vide che si era cotta e sentì che aveva un profumo accettabile, l'assaggiò e disse: "Bah, boh, beh, etc…" a seconda della lingua del posto e pensò che se fosse stata insaporita con delle bacche e del grasso, forse qualcosa se ne poteva ottenere.
     Qualche giorno dopo presentò all'uomo la novità che aveva inventato, la "cosa insaporita", l'uomo l'assaggiò e disse: "Mbé, quasi-quasi, good, buono, gut, Se-po’-fah, tran-cin, a me piagere, lek-kor-niah, etc…" a seconda della lingua del posto, ed era contento perché avrebbe fatto la pace con la donna e che da quella notte l'avrebbe nuovamente conosciuta.
     E fu così che la "cosa" incominciò la sua storia. Ben presto fu anche chiaro che "la cosa" andava mangiata cotta, perché cruda era ed è tuttora pessima tant'è vero che la chiamano "colla di farina", il che dice tutto.


[1] Giobbe Covatta - "Dio li fa e poi l'accoppa" - Mondadori Editore - Milano (1998)

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